Una risposta operaia alla emergenza coronavirus

Escribe Prospettiva Operaia

La lotta all’epidemia e la lotta al capitalismo

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L’epidemia da Coronavirus, scoppiata in Cina alla fine del 2019, è giunta in Italia con diffusione a macchia d’olio e effetti catastrofici. Mentre scriviamo, circa 20 giorni dopo l’introduzione delle prime zone rosse, ci sono circa 13mila positivi e oltre mille morti, facendo dell’Italia il secondo paese al mondo con più deceduti, dopo la Cina. Le zone più colpite sono le regioni del Nord (e tra esse soprattutto la Lombardia), produttrici dell’80% del PIL del paese.

Al panico iniziale, e al successivo tentativo, sotto la pressione di borghesia grande e piccola, di sminuire la portata della epidemia (“è solo un influenza!”) - che secondo l’OMS è già definibile come pandemia globale- il governo ha approvato una serie di misure per cercare di limitare il contagio. Tra queste, l’uso massiccio, dove possibile, dello Smartworking e del telelavoro, il divieto di circolazione salvo comprovate ragioni, varie misure di profilassi pubblica, e la chiusura di attività commerciali tranne quelle di prima necessità (settore alimentare, farmacie, benzinai, ecc.…) e le attività produttive (fabbriche, logistica, ecc.).

I ritardi delle misure adottare, soprattutto a causa della pressione da parte del padronato (si veda la posizione pubblica della Confindustria della Lombardia, regione che conta la metà dei contagi totali) che si oppone alla eventuale chiusura totale delle attività produttive (per l’appunto escluse dal decreto) e che espone i lavoratori che non possono adottare lo Smartworking alla possibilità di essere contagiati, creano un inaccettabile diseguaglianza tra lavoratori di diverse categorie, e tra lavoratori e commercianti e capitalisti. A queste misure si registrano casi di sacrosanta ribellione con scioperi e manifestazioni.

Un esercito senza armi

L’Italia affronta l’epidemia di Coronavirus sprovvista di mezzi. Lo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale per favorire la sanità privata regionale, con la conseguente perdita di migliaia di posti letto e professionisti (medici, infermieri, personale tecnico, ecc.…) ha generato una situazione insostenibile che costringe il personale sanitario ha turni massacranti, anche in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (i cui Servizi Sanitari Regionali sono considerati i migliori d’Italia). La roboante propaganda dal sapore bellico stride pesantemente con l’assenza di mezzi coi quali affrontare il virus nemico.

Ma la crisi di queste settimane ha dimostrato, più in generale, la fragilità e l’impreparazione di una società che vantava, dopo trent’anni di privatizzazioni e liberalizzazioni, di essere più efficiente e più razionale. L’economia del “just in time”, della rinuncia al magazzino, ci priva di qualunque minima riserva di mascherine, tamponi, gel disinfettante, medicinali necessari in questo momento.

Il tutto nonostante la serie di epidemie e catastrofi sanitarie ed ecologiche dell’ultimo ventennio: mucca pazza, SARS, febbre suina, MERS, ebola, ecc. Se questo problema affetta paesi ricchi e sviluppati come Usa e Germania, riguarda ancor di più l’Italia. Secondo gli esperti della John Hopkins School l’Italia è al 51esimo posto per capacità di risposta e mitigazione di un'epidemia. Le avvertenze dell’OMS, relative all’aumento della probabilità di diffusone di pandemie, in una società globale altamente connessa, sono state ampiamente ignorate. Le misure di sicurezza e di prevenzione, avrebbero richiesto miliardi di euro di investimenti in ricerca e sviluppo, attrezzature sanitarie, strutture, che invece sono regolarmente sacrificate per sussidiare banchieri e industriali. Dal 1992 l’Italia spende regolarmente (con l’eccezione dell’anno 2009) meno di quanto incassa come entrate tributarie. L’avanzo primario così generato serve a pagare gli interessi su un insostenibile e impagabile debito pubblico

La crisi capitalista e il default

Il Coronavirus arriva in un momento di enorme difficoltà per l’economia mondiale e in particolar modo per quella italiana. Le banche centrali sono costrette a immettere grandi liquidità nel sistema bancario per sostenere l’economia; ma così facendo non fanno altro che gonfiare ancora di più la gigantesca bolla speculativa che ha permesso al capitalismo di non crollare sotto i colpi della crisi 2007/2008. L’intrecciarsi della crisi pandemica e di un vertiginoso crollo del prezzo del petrolio del 35% può avere come effetto l’innesco di una nuova recessione mondiale, da tempo paventata anche da economisti dell’establishment. A guerra commerciale, Brexit, guerra USA-Iran e default argentino (i quattro probabili “inneschi” di una nuova recessione mondiale descritti dall’economista Roubini) si aggiunge la pandemia da Coronavirus. Il pacchetto economico straordinario approvato dal governo (25 mld di euro) col beneplacito dell’Unione Europea che ha acconsentito allo sforamento dei parametri di Maastricht (consapevole che a breve stessa sorte potrebbe toccare agli altri paesi dell’UE), non può salvare il paese dalla crisi mondiale e da un probabilissimo default.

Il governo dei padroni e la lotta per un governo dei lavoratori

La scelta del governo Conte di non bloccare la produzione è una scelta criminale che mette a repentaglio la salute e anche la vita dei lavoratori e delle lavoratrici. È una scelta dettata da Confindustria e banche, e la dimostrazione che per la società capitalista i proletari sono carne da macello, sacrificabile sull’altare del profitto. Occorre, nonostante la fase difficile, che non si privi questo governo di un’opposizione sociale al governo dei padroni, amministratore dell’austerità capitalista. Non è possibile uscire dall’emergenza se non si adottano misure di rottura con l’austerità capitalista e le necessità del padronato. L’unica risposta al Coronavirus e al virus del capitalismo è operaia e rivoluzionaria.

Rivendichiamo:

il raddoppio del budget sanitario e un piano immediato di recupero dei posti letto persi negli ultimi trent’anni; esproprio delle cliniche private inquadrandole nel SSN; gratuità di tutte le prestazioni sanitarie una giornata lavorativa di massimo 6 ore e settimana lavorativa di massimo 30 ore per i lavoratori del settore sanitario, del settore farmaceutico e del settore dell’industria biomedicale l’assunzione immediata, a salario pieno e a tempo indeterminato, di tutto il personale necessario. NO al lavoro straordinario! controllo operaio sulle condizioni di lavoro del personale di questi settori Nazionalizzazione dell’industria farmaceutica e dell’industria delle attrezzatture sanitarie e biomedicali; distribuzione gratuita di mascherine e gel disinfettante Ai lavoratori che possono lavorare in modalità lavoro agile (“Smartworking”), che le aziende forniscano tutti i mezzi necessari: computer, utenze necessarie (gas, luce, telefono, ecc.); tutti gli altri lavoratori a casa a salario pieno se tutti devono tare a casa bisogna dare una casa a chi non ce l’ha: requisizione delle case sfitte e esproprio del patrimonio immobiliare nelle mani del Vaticano e dei grandi gruppi NO alle ferie forzate! NO al divieto di sciopero! Fermare la produzione di tutti i rami dell’industria non necessari a fronteggiare l’epidemia! Indulto/amnistia per i carcerati Per finanziare queste misure: NO al pagamento del debito pubblico! Nazionalizzazione del sistema bancario e dei grandi patrimoni sotto il controllo operaio! Sciopero generale! Governo dei lavoratori!

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