GKN: una lotta emblematica per il movimento operaio italiano

Escribe Michele Amura

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La chiusura dello stabilimento di Campi Bisenzio, vicino Firenze, ha colto di sorpresa molti lo scorso luglio: certamente gli operai che hanno appreso la notizia via email dal giorno alla notte; no di certo le burocrazie sindacali che nemmeno una settimana prima avevano firmato lo sblocco dei licenziamenti in accordo con il padronato e con il governo Draghi. La chiusura però, non è un evento isolato che riguarda soltanto gli oltre 500 operai della GKN, è la notizia che migliaia e migliaia di lavoratori italiani ogni giorno stanno ricevendo dal proprio padrone. Significa la condanna alla disoccupazione che, nonostante la legge vietasse i licenziamenti, un milione di operai ha già subito dopo lo scoppio della pandemia.

In questo contesto sociale la vertenza acquisisce una centralità politica: da un lato perché appare come la punta dell’iceberg, la vertenza simbolo per tante fabbriche in processo di smantellamento, dall’altro per la sua radicalità nel rispondere alla chiusura dell’impresa. Tra le decine di vertenze in corso per chiusura degli stabilimenti la GKN, insieme allo stabilimento Whirpool di Napoli, è la fabbrica più grande e importante per il sistema produttivo italiano; produce, infatti, semiassi per la ex Fiat, ora Stellantis. Per la sua centralità ha ottenuto un maggior rilievo mediatico e una maggiore attenzione da parte delle istituzioni borghesi che hanno promosso una passerella di fronte la fabbrica e una sequela di critiche al fondo inglese che ha stabilito la chiusura del sito fiorentino. L’ipocrisia e il finto patriottismo, soprattutto in occasioni come queste della lotta di classe, sono un marchio di fabbrica italiano.

La lotta in GKN è centrale però, non tanto per la sua importanza “oggettiva”, ma per il fattore “soggettivo”. Il consiglio dei delegati in GKN è un consiglio combattivo e antiburocratico. Da anni i delegati Fiom, appartenenti all’opposizione di sinistra in CGIL, preparano la base operaia alla lotta: sia quando hanno promosso scioperi in solidarietà di altre vertenze - l’ultimo qualche mese fa in occasione della morte di Adil, sindacalista ucciso durante un picchetto operaio - sia quando criticavano la politica traditrice della burocrazia sindacale con la sua concertazione col padronato. Nonostante lo stupore per il licenziamento improvviso gli operai, la sera stessa della chiusura, hanno occupato una fabbrica dopo una partecipatissima assemblea di fronte i cancelli. Con la propria radicalità hanno strappato uno sciopero provinciale di tutta la burocrazia sindacale (CGIL, CISL e UIL) in sostegno della loro vertenza. Grazie i legami politici costruiti in anni di scioperi solidali, la stessa settimana una manifestazione di 5000 lavoratori, con la presenza di tutta la sinistra politica e sindacale, ha percorso le strade della cittadina in cui è situata la fabbrica.

Il piano di lotta dei lavoratori GKN contrasta brutalmente con l’operato della burocrazia sindacale, che non solo ha permesso lo sblocco dei licenziamenti, “causa prima” della valanga di chiusure e licenziamenti in corso, ma nelle stesse vertenze locali boicotta la lotta, isolando le fabbriche l’una dall’altra ed evitando le misure più radicali come i blocchi stradali.

Un focus critico

Terminare l’analisi con toni trionfalistici, brindando alle grandi lotte di classe che verranno in Italia, e alla probabile vittoria, non farebbe onore all’intelligenza del lettore, né sarebbe utile per i militanti che stanno appoggiando, nel limite del possibile, questa lotta così importante.

La situazione è estremamente complessa: gli stessi operai ne sono coscienti. Come più volte ripetuto dal delegato FIOM Salvetti, che nei suoi interventi pubblici ha sottolineato come l’azienda avesse preparato lo smantellamento della produzione da tempo e fosse preparata ad una eventuale occupazione per difendere i macchinari. Per questo un ritiro della chiusura dello stabilimento è alquanto improbabile da parte del fondo Melrose; come sembra pressoché impossibile l’acquisto di altre aziende del settore visto la crisi capitalistica e l’alto “costo” della manodopera italiana rispetto altri paesi europei, come la Polonia, in cui non a caso Melrose ha previsto dirottare la produzione. In questa situazione l’unica alternativa, per mantenere aperta la fabbrica, sarebbe la nazionalizzazione che però rimane un’ipotesi negata, anche formalmente, dalle regole dell’Unione Europea. Costringere il Governo Draghi ha rompere questa direttiva richiederà una pressione politica, frutto di scioperi, picchetti e blocchi stradali, come poche volte si è visto negli ultimi anni in Italia.

Questo scenario dimostra come senza una generalizzazione della lotta, legando la GKN alle decine e decine di vertenze che stanno spuntando come i funghi per tutto lo Stivale, non sarà facile ottenere un risultato positivo per i lavoratori. Ciò che rimane certo è la combattività dei lavoratori che in queste settimane hanno colmato il calendario estivo della lotta di classe con numerose iniziative, di lotta e di propaganda, con scioperi e concerti per sostenere la cassa di resistenza. La sinistra rivoluzionaria in questo quadro può avere un ruolo non secondario: utilizzare la propria forza politica ed organizzativa, purtroppo ridotta all’osso dopo un decennio di reflusso e crisi politica dell’avanguardia, per rompere l’isolamento della burocrazie e mettere in contatto l’esperienza di Campi Bisenzio con le altre fabbriche in lotta.

“Fare come in GKN” può diventare lo slogan per la prossima fase della lotta di classe in Italia.

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